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La vera storia di Sant'Agata, patrona di Catania

​​Sant'Agata, la storia e la festa di Catania tra le più importanti al mondo
 
SANT'AGATA, STORIA, FEDE E FOLCLORE DI CATANIA

 

​Vedi anche: #UnniEASanta - Dove si trova esattamente il fercolo di Sant'Agata in processione? (Bot per Telegram) Dove si trova il Fercolo di Sant'Agata in processione in tempo reale?

Sulla solennità di S.Agata hanno già forse parlato in molti, qui si cerca di curare il racconto nei particolari per dare una visione più completa sia per un fattore storico sia per gli aspetti di fede e di folclore.


Forse non tutti sanno che l'isola più grande del Mediterraneo, la Sicilia, con i suoi 25.740 kmq. è chiamata Isola di Bellezza, Isola di Luce, Isola di Fiori e il numero ricorrente per questa bella terra è il 3 .
Infatti  3 sono le punte (capo Lilibeo a Ovest, Faro a Est e Passero a Sud), da qui il nome Trinacria.
3 sono i mari che la circondano (Mediterraneo, Tirreno e Jonio).
3 sono le città che trainano (Palermo,Catania, Messina).
Ma la gloria più grande, fra i tanti figli di questa terra, è senza dubbio data da 3 fanciulle: Agata, Lucia e Rosalia (Bontà, Luce e Bellezza), orgoglio e vanto di questa bella terra.

AGATA E IL SUO MARTIRIO
Agata nasce a Catania nel 235 in un periodo in cui la chiesa era ormai abbastanza lontana dalle persecuzioni, l'odio popolare si era notevolmente placato e i fedeli erano cresciuti enormemente di numero. In Sicilia, sebbene non ancora del tutto aperta e pubblica, ma certamente organizzata, la vita cristiana si era sviluppata con precise comunità con vescovi, preti e diaconi.
In questo periodo numerose erano le fanciulle che seguivano il consiglio evangelico della perpetua verginità. Esse formavano l'aristocrazia del cristianesimo e si chiamavano "Virgines Deo Dicatae".
Venivano professate con grande solennità ed era lo stesso vescovo che imponeva il "Flammeum" o velo rosso indicante la loro condizione. Vestivano sommessamente senza sfarzo, senza lusso ed avevano una vita piuttosto sommessa e ritirata. Catania non dovette mancare di un buon numero di queste "Virgines" e Agata ne fu più fulgida stella.
Nel 249 saliva al trono imperiale Decio, che volle colpire subito la chiesa con un decreto di persecuzione orribile e tremendo, la sua ferocia fredda e calcolata non voleva martiri ma apostati.
Tutti i cittadini dovevano compiere un atto di idolatria in appositi uffici appositamente istituiti.
Dopo aver compiuto l'atto di idolatria, al cittadino veniva rilasciato il "libello", una specie di certificato di adorazione e chi non lo possedeva veniva processato.
Agata intanto, cresciuta in Santità, bellezza e bontà (il nome significa la buona), con la sua nobile famiglia alle spalle ardeva di amore per il suo sposo Gesù.
Ma un giorno fu vista dal Governatore della città, il proconsole Quinziano che si invaghì non solo della bellezza della fanciulla ma anche dei beni che la famiglia possiedeva, suscitando in lui grande avidità
Cercò prima di concupirla ma davanti alla santità della sua vita e per per il rifiuto nell'adorare gli dei la fece arrestare. Agata resistette pure alle voglie libidinose di Quinziano che per scardinare la sua fermezza l'affidò per un mese ad una donna, Afrodisia, maestra in erotismo, che insieme alle sue figlie, cercò di corrompere Agata, ma ella resistette e, perseverante nella preghiera, si mostrava orgogliosa dell'appartenenza a Cristo. Alla fine Afrodisia si arrese e riferì al console: "E' più facile rammollire i sassi e rendere il ferro duttile come il piombo che non distogliere questa fanciulla dall'essere cristiana."
Allora in ossequio al decreto dell'imperatore Decio ,Quinziano interrogò Agata sulla sua fede e cercò di indurla a sacrificarla, ma la fermezza della giovane che ribatteva sempre con argomenti pesanti sulla diatriba pagano-cristiana, fecero infuriare il pagano che ordinò che Agata fosse rinchiusa in carcere così sperando che ella, forse intimorita dalla reclusione e dalle sofferenze, si persuadesse a rinnegare la fede cristiana, ma ella ricolma di gioia e fierezza entrò in carcere come invitata ad un banchetto nuziale. L'indomani, di fronte ancora ad immutata fermezza, Quinziano ordinò di appenderla ad un grande cavalletto e torturarla, mentre continuava a sollecitare l'apostasia. Ma Agata proclamava la sua gioia di soffrire per il nome cristiano manifestando quindi la certezza di "entrare nel paradiso del Signore con la palma del martirio" dopo che il suo corpo sarebbe stato dilaniato dai carnefici.
Quinziano, non potendo possedere Agata, schernito, decise di mortificarla nella sua bellezza fisica.

 

 

Le fece quindi amputare le mammelle. Agata persisteva però nella sua professione di fede e, di fronte alla malvagità di Quinziano, gli disse sprezzante: "Empio, crudele e disumano tiranno, non ti vergogni di strappare in una donna le sorgenti di vita da cui tu stesso prendesti alimento al petto di tua madre?".
In carcere, piagata nel corpo, ma con lo spirito integro, pregava il Signore Gesù di chiamarla presto vicino a se'. Nella notte ricevette la visita dell'apostolo Pietro che sotto le sembianze di un vecchio la consolò con la garanzia che Quinziano sarebbe stato dannato in una "eterna amarezza" e che egli era lì per sanarle le ferite del seno mutilato, ma doveva vincere la ritrosia di Agata. Manifestandosi il vecchio le disse di essere stato mandato da Gesù per guarirla. Giosamente, Agata passò la notte in preghiera perseverando nella sua decisione di testimoniare il  Cristo che l'aveva salvata.
Lo stupore di Quinziano nel constatare l'inspiegabile guarigione del seno, condannò Agata per delitto di Cristianesimo e comandò di farla rotolare a corpo nudo su cocci di vasi acuminati e carboni ardenti. Ma appena la giovine fu calata nella fornace il fuoco pareva allontanarsi da lei, la ghermiva marginalmente lasciandole interamente intatto il corpo e accendendo d'ira Quinziano.
Durante l'esecuzione di questo supplizio un terremoto scuotè con veemenza la città e perirono i due consiglieri di Quinziano. I Catanesi, atterriti, attribuirono l'evento sismico ad un castigo di Dio per le inique sofferenze inflitte alla loro concittadina e irruppero in tribunale per avventarsi contro Quinziano che, impaurito dal terremoto e dalla sommossa, fece riportare Agata in carcere, fuggì dal pretorio e dalla città e uscì di nascosto dalla porta sud della città.
Giunto però al fiume Simeto, nel tentativo di attraversarlo, venne travolto dai flutti scomparendo fra essi e il suo corpo non fu più ritrovato. Una leggenda catanese narra che nelle notti di febbraio in riva al fiume, quando tira forte il vento, si sente il lamento del proconsole tra i flutti e le piante del fiume.
In carcere Agata, allargando le braccia in preghiera e raccomandandosi al suo sposo celeste spira alla presenza di numerosi cristiani e di cittadini pagani, è il 5 febbraio del 251.
La comunità cristiana si prende cura del corpo della martire e lo seppellisce secondo l'uso cristiano.
Il significato del martirio di Agata viene inciso su una tavoletta che viene posta nel sepolcro, vicino al capo, da un giovane vestito di bianco seguito da cento fanciulli, narrano gli atti che nessuno lo conoscesse e che nessuno mai vide più e che tutti furono concordi nel riconoscerlo come il suo angelo custode. La tavoletta dichiarava "Mentem Sanctam Spontaneum Honorem Deo Et Patriae Liberationem" (Mente Santa, Spontaneo Onore a Dio, E Liberazione della Patria). Questa tavoletta di marmo fu rubata e portata a Cremona, custodita dal 568 circa  in quella città nell'insigne Collegiata di S.Agata e dove La "Santuzza" è venerata. Catania ha solo una copia della tavoletta dove fu trovata intorno al 1742, un'altra targhetta è stata posta sul busto reliquiario della Santa. Infine sopra l'obelisco che adorna l'elefante (simbolo della città), vi è il monogramma M.S.H.D.E.P.L a testimonianza del fatto.

DIVULGAZIONE DEL CULTO
Alla martire, che aveva riportato la vittoria per la fede e per la purezza, furono celebrate le esequie trionfali. I suoi devoti, anche ebrei e pagani, aumentavano a dismisura, la storia degli Atti del suo martirio, redatti in latino come era usanza nei tribunali romani per i processi, era letta durante la Santa Messa del tempo e si propagava con rapidità in tutte le comunità dell'Europa e dell'Asia.
Fin dalla fine del V secolo il nome di Agata fu inserito nel Canone della Messa romana (oggi preghiera Eucaristica) e anche martirologi europei e orientali riportano il suo nome.
In Germania il culto di S.Agata è antichissimo, vi si benedicono pane, vino, frutta, candele, usando la formula della "Tavoletta" come nei rituali dei paesi nordici, vi sono benedizioni ispirate a quella scritta angelica, ma possiamo trovare simili rituali anche a Lione e a Valenza.
I protestanti di Inghilterra, che nel sec. XVI abolirono dai loro calendari tutte le feste di culto cattolico, conservarono quella di S.Agata il 5 febbraio.
La repubblica di S.Marino l'ha eletta Compatrona dello stato.
E' invocata quale protettrice dalle gestanti, nelle malattie femminili, dai fabbricanti di campane e contro gli incendi. Le iniziali M.S.S.H.D.E.P.L sono incise in molteplici campane del mondo.
Infine la cattedrale di Buenos Aires è dedicata alla Santa.

VICENDE DEL CORPO DI S.AGATA
I Catanesi, compresa la grandezza della loro martire, ne composero la salma in un nobile sepolcro comprato in tutta fretta e scalpellato da figure pagane, la collocarono nel cimitero cristiano nella parte detta "area martirum," come attesta un'antica iscrizione del secolo III che parla di una bambina sepolta vicino la porta del luogo dei martiri.
Alla fine delle persecuzioni il sepolcro col suo corpo incorrotto fu solennemente installato nel posto dove oggi sorge la chiesa di S.Agata la Vetere (la Vecchia), dove riposò fino al 1040.
In quell'anno il generale bizantino Giorgio Maniace, comandante in Sicilia dell'esercito imperiale, trasportò a Costantinopoli il santo corpo (insieme a quello di altri santi siciliani, compreso quello di S.Lucia, che poi fu preda dei veneziani che lo trasportarono in patria, dove ancora si trova) per ingraziarsi l'imperatore e ottenere qualche misericordia divina sul traballante impero.
A Costantinopoli il sacro corpo fu onoratissimo e ogni anno il 5 febbraio veniva festeggiato con sfarzo orientale. In quel giorno si assisteva, dice il testimone oculare S.Metodio, al miracolo singolare del ribollire dell'olio nelle lampade accese al suo altare.
Dopo 86 anni d'esilio il corpo ritorna trionfante a Catania (è il 17 Agosto del 1126) e fra il tripudio dei Catanesi entra nel nuovo duomo fatto costruire dal conte Ruggero nel 1094. Il vescovo di allora Maurizio (1124-1143) ci narra cosa avvenne allora:
Apparve S.Agata , in sogno ripetutamente a Costantinopoli a Giliberto, francese, ufficiale militare della reggia, gli ordinò di prendere il suo corpo e trasportarlo a Catania.
Egli chiamò in aiuto l'amico Goselino (calabrese) e insieme, con "lodevole furto", lo rapirono, tagliandolo a pezzi, e lo riposero delicatamente in due faretre perché non fosse scoperto. Salparono per Smirne, Corinto, Medone e Taranto. Qui nel rivedere le sacre membra, perdettero una gloriosa mammella, trovata poi miracolosamente e conservata fino ad oggi a Galatina.
Da Taranto procedettero per Messina e alla volta di Acicastello, residenza estiva del vescovo Maurizio, a cui consegnarono il sacro corpo. I due militi sono sepolti nel duomo Catanese nella cripta della cappella della Madonna sotto il presbiterio dell'altare maggiore, vicino al sepolcro del corpo della Santa.

ALCUNI MIRACOLI

 

 

S.Lucia ottiene la guarigione della mamma. Venendo apposta da Siracusa a Catania assieme alla madre, mentre pregava fervidamente alla tomba della martire ebbe la visione di lei che le disse: "Perché chiedi la mia intercessione per ciò che tu stessa puoi ottenere per merito della tua verginità?" e aggiunse: "Per me la città di Catania viene sublimata da Cristo, così per te ed il tuo martirio la città di Siracusa sarà decorata dal Signore", predicendole così il martirio che sarebbe avvenuto dopo pochi mesi (anno 304).
Allo svegliarsi Lucia trovò la mamma sanata.
PER ME CIVITAS CATANENSIS SUBLIMATUR AB CHRISTO. Questa iscrizione si può vedere all'interno della parete che racchiude i resti del teatro romano in piazza Stesicoro a Catania, di fronte alla chiesa di S.Agata alla fornace.
I catanesi scampati dall'eccidio: Nel 1232 Federico II penava ad espugnare Catania e nella rabbia aveva deciso di passare a fil di spada i ribelli catanesi. Quando era vicina la capitolazione i catanesi chiesero di poter ascoltare l'ultima messa all'altare di S.Agata. Federico accettò e volle essere presente alla sacra funzione, mentre però sfogliava un libro vide apparire improvvisamente queste parole:
NOLI OFFENDERE PATRIAM AGATHAE QUIA ULTRIX INIURIARUM EST (non ti rischiare a far male alla patria di Agata perché ella vendica le ingiustizie).
Il fatto si ripeté ogni volta che sfogliava le pagine del libro, egli non temeva gli uomini ma rispettava i santi e cedette.
Nel 1296 le parole che egli lesse furono dipinte nel tetto della cattedrale e le iniziali N.O.P.A.Q.U.I.E. si leggono nell'architrave esterna della porta sinistra del Duomo e in vari altri luoghi, anche sopra l'obelisco dell'elefante, a testimonianza del vigile e possente patrocinio di S.Agata sulla sua patria.

Peste fugata.
Nel 1575 la peste divampò in Sicilia e quindi anche a Catania. Proibito ogni assembramento, i catanesi ottennero di far portare in giro il corpo di S.Agata ai soli chierici, senza il popolo, per paura del contagio. Alla "porta di Aci" (la porta a nord della città, oggi piazza Stesicoro), invece la folla irruppe con grida e pianti ed il Santo corpo fu portato fin dentro i vicini ospedali, gli ammalati si alzarono dai loro letti mescolandosi tra il popolo ma invece del temuto contagio si ebbe la guarigione di tutti gli appestati.
Ancora nel 1743 altra peste minacciava Catania. A Messina erano morte quasi 29.000 persone. I catanesi invocarono la loro protettrice e non ebbero alcuna vittima. In una piazza a Catania, vicino alla stazione, in Piazza dei Martiri, vi è una lunga colonna e sopra di essa la statua di S.Agata che schiaccia il serpente pestifero, una targa porta la scritta:" A S.Agata cittadina, salvatrice dalla peste - 1743".

L'Etna domata.
Molte volte S.Agata ha salvato Catania dalla furia delle eruzioni del vulcano, vari storici ne hanno documentato ben 20 volte dal 252 fino all'ultima nel 1886.
L'eruzione del 1669 fu spettacolare e forse la più terribile: l'8 marzo il vulcano inaspettatamente squarciò il suolo vicino Nicolosi (20 km circa da Catania) ed eruttò magma, pietre, sabbia e terra rossa in quantità tale da formare in brevissimo tempo i "Monti Rossi" (oggi ricoperti di rigogliosa vegetazione e meta di villeggiatura). Dopo tre giorni un fiume di fuoco liquido cominciò a scendere precipitosamente ed inesorabilmente verso Catania, allagandosi sempre di più e distruggendo ogni cosa, in pochissimi giorni travolse circa dodici paesi e borgate pedemontane. Il 16 aprile il fronte lavico, largo già 3 chilometri, avanzava già alla periferia di Catania, in 6 ore ricoperse il lago di Nicito (lago formato dal fiume Amenano). Il 23 aprile aveva raggiunto il mare dietro il castello Ursino.
Il 30 il fuoco era sul ripido pendio che sovrasta Catania, allora il vescovo e la gente rimasta, in abiti penitenziali, andarono ad opporre al magma rovente il velo di S.Agata e la lava si fermò, dall'altro versante penetrò nel mare essiccandolo per più di 3 km. Per lo scampato pericolo nella funzione di ringraziamento il vicerè ordinò una grossa lampada da ardere sempre (e ancora arde) nella cappella di S.Agata davanti alle reliquie. Il popolo chiamò via "della Vittoria" (di S.Agata sul vulcano) la strada che poi si aprì sulla lava raffreddata che poi nel 1860 fu chiamata Via del Plebiscito per l'unità d'Italia, strada che la Santa percorre con il suo fercolo in tutta la sua lunghezza la sera del 4 Febbraio per ricordo, conferma e sprone di fede.

IL RELIQUIARIO
Nel 1373 la sede pontificia era ad Avignone e regnando Gregorio XI, nel dicembre giunse da Catania il vescovo Marziale nativo di Limoges per ottenere dal papa licenza perchè Federico III assumesse la corona di Sicilia. Estasiato dagli splendidi lavori orafi eseguiti per il papa, decise di contattare l'orafo senese Giovanni di Bartolo per ordinargli i reliquiari per il sacro corpo della patrona Catanese. L'opera argentea fu pronta nel 1376. L'11i di dicembre arrivavano a Catania 7 reliquiari per le singole membra:
1 per la testa ed il busto, 2 per le due mani e braccia, 2 per i femori, 2 per i piedi e le gambe.
Nel 1628 si allestì un reliquiario per la sacra mammella ed infine nel 1915 il Cardinale Nava chiuse il Sacro Velo in un astuccio triangolare di cristallo, così i reliquiari oggi sono 9.
Nel busto si nota nel capo della Santa l'apertura che consente di porre all'interno l'insigne reliquia del teschio.
La contro base d'argento finemente cesellata con angioletti a forma di cariatidi fu realizzata nel XVI secolo per rendere il mezzo busto più visibile dentro il percolo durante le processioni. Non c'è un solo punto vuoto e dove nessuno se l'aspetta, proprio sotto il concavo delle mensole che sostengono gli angioletti sono rappresentate con finezza d'arte e smalto due scene del martirio. Il campo della base è adorno pure di lavori anch'essi a smalto che raffigurano lo stemma della casa Aragonese, quello di Catania nella parte anteriore, nel posteriore gli stemmi di Gregorio XI e Marziale. Il mezzobusto è interamente coperto di oro e gioielli. Gli ex-voto che coprono il busto sono molteplici. Tra le tante collane del '400 e '500 spiccano: la massiccia quattrocentesca collana del vicerè Ferdinando Acugna (devotissimo a S.Agata). Il gran collare dell'ordine del "Toson d'oro" e dell'ordine dell'Alcantara", una croce artisticamente lavorata del sec. XVI con gemme preziose. Ben visibili sono dieci grossi smeraldi. La croce della Legion d'Onore di Vincenzo Bellini, numerosi croci e pettorali appartenuti a vari vescovi di Catania, oltre quella donata da papa Leone XIII. Una corona con prezioso diadema ricco di gemme, dal peso di Kg. 1,350, che la tradizione dice essere stata donata da Riccardo Cuor di Leone di ritorno dalle crociate, ma che gli esperti attribuiscono ad altra epoca. Un grosso anello offerto dalla regina Margherita di Savoia nel 1881, Altri numerosi oggetti e preziosi sono custoditi a parte.

LO SCRIGNO
Quella cassa d'argento dove sono custodite le altre reliquie, i Catanesi lo chiamano "scrigno" e per molti è solo una preziosa e massiccia custodia. Pochi sanno che il reliquiario è tanto prezioso per essere considerato l'esemplare più importante fra i pochissimi rimasti dei molti ormai andati distrutti.
Fatta con offerte dei devoti, la cassa comincia ad essere lavorata nel 1476 e ci vollero oltre cento anni per finirla. La forma rettangolare di stile gotico con spigoli tagliati lungo m. 1,45 largo 0,56 e alto 0,85. Assai belle sono le figure dello scrigno e le statuette che adornano il prezioso reliquiario. Esse ripetono lo scopo che si proponevano gli artisti dell'eopoca, ovvero l'insegnamento religioso attraverso l'allegoria. Alcuni lo hanno paragonato ad un duomo di Milano in miniatura.
Nel 1943 i nazisti, che facevano razzia dei vari tesori in Europa, volevano requisire il tesoro e il corpo della Santa ma non lo trovarono perché di notte fu trasportato fuori città, precisamente nel paesino di Fleri alle pendici dell'Etna, dove fu abilmente nascosto e protetto dentro un profondo pozzo, oggi vi è una targa di marmo a ricordare l'evento nella chiesa parrocchiale.

IL FERCOLO
Il Fercolo sul quale la Santa Patrona di Catania compie il giro della città nella ricorrenza della sua festa è tutto d'argento, lavorato nello stile classico del Rinascimento. Nato dall'amore che i catanesi hanno testimoniato in ogni tempo per la loro Protettrice uscì per la prima volta il 4 febbraio 1519. Prima di allora le sacre reliquie venivano trasportate sopra un'antica "vara" di legno dorato che veniva portata a spalla. Vincenzo Archifel, valentissimo artista, oriundo napoletano che lavorò a Catania dal 1486 al 1533 impostò la vara nelle linee architettoniche che essa ha conservato fino ad oggi, nella forma cioè di un tempietto con fronte largo m1,46 e lungo m. 2,75 sostenuto da sei colonne in stile corinzio sorreggenti un'elegante trabeazione sormontata da un capolino a base rettangolare integolato a scoglie ricamate da foglie di acanto e fiorami. L'opera non rimase come l'autore l'aveva concepita, andò arricchendosi di nuovi elementi decorativi e ornamentali che da una parte l'hanno resa più fastosa, ma dall'altra hanno finito per alterare la sua impronta originale.
La prima aggiunta fu quella delle 12 statuette d'argento raffiguranti gli apostoli che svettano intorno ai bordi del cupolino. Poi furono aggiunte 20 lampade e successivamente, in vari periodi, si pensò di arricchire il basamento con l'applicazione in corrispondenza di ciascuna colonna di 22 bassorileivi (12 grandi e 10 piccoli) riproducenti scene del martirio e dei miracoli di S.Agata. I festoni mobili fra le colonne vennero raddoppiati di numero nel 1743, mentre i vasi portafiori allineati alla base furono aggiunti a mano a mano nel corso dei secoli. Tali portafiori sono riempiti di garofani rosa nel giro esterno del 4 Febbraio, ricordando il martirio, sono invece bianchi il giorno 5 per la solennità religiosa che si festeggia. Il fercolo subì purtroppo dei danni nel corso dei secoli, nel 1890 fu spogliato delle 12 statuine da ignoti ladri, e di tutto l'argento che essi poterono facilmente "strappare" ma furono rifatti grazie ad una generosa offerta popolare.
Il 17 aprile 1943 un violento bombardamento aereo si scatenò sulla Sicilia, riducendo il fercolo in condizioni nuovamente pietose. La perdita più grave fu quella di alcune formelle del basamento.
Fu ricostruito nuovamente nel 1947, da allora la splendida macchina che non ha motore ma solo un impianto frenante, è completamente trainata a mano tramite due grossi canapi, "i cordoni", che partono dai lati del fercolo, da una fiumana interminabile di devoti in camice bianco, i "Cittadini". Accompagnato in un tripudio di musiche, di luci e di colori dalle "candelore", ma anche con uno spirito profondo di autentica fede.

LE CANDELORE
L'aspetto folcloristico della festa è costituito dalle "candelore" o cerei votivi offerti dalle varie categorie cittadine alla Patrona.
Sono enormi candelieri ricchi di angeli, statue e con scene del martirio, di fregi, di ornamenti vari che avanzano in una danza tipica e grottesca detta "Annacata"(dondolio). Fino agli anni '70 uscivano in processione a partire dal 2 febbraio (festa della Madonna della candelora) istituito nel 492 da papa Gelasio I in sostituzione della festa pagana in onore di Cerere. Nel 1514 ogni candelora (se ne contavano 22) era accompagnata da due consoli o artigiani dell'arte o della confraternita a cui apparteneva, apriva il corteo il cereo dei confettieri ricco e adorno di "cosi zuccarati". Da un programma della festa del 1674 parteciparono addirittura 28 candelore, chiamate all'epoca anche gigli, alcune delle quali superavano le cime dei palazzi. Dopo il terremoto del 1693 la processione dei cerei assunse tutte le caratteristiche di un'autentica festa barocca, anzi potremmo dire che è l'esempio vivo del barocco sontuoso in movimento.
Alla fine del XIX secolo le candelore erano 15, esistevano pure quelle dei calzolai, carrettieri e dei muratori.
Oggi sono 11 in totale e secondo la grandezza e il peso vengono portate a spalla da 4, 8,10 o 12 uomini.
La candelora che apre la sfilata è quella di Mons. Ventimiglia (vescovo Catanese), detta anche del clero. E' la più piccola, non del tutto fedele all'artistica originale del 1766 distrutta dai bombardamenti.
Il primo cereo è quello dei Rinoti (del quartiere di Catania di San Giuseppe La Rena), bellissimi sono i quattro grifoni della base che danno un'impronta tipicamente barocca. Segue quella degli Ortofloricultori (giardinieri e fiorai) in stile gotico-veneziano. Segue quella dei Pescivendoli in stile rococò ricca di stendardi ed ex-voto ricamati. Viene poi quella dei Fruttivendoli, leggiadra e scintillante, con una artistica riproduzione del busto di S.Agata. La candelora dei Macellai, che conserva ancora il tradizionale mazzetto di fiori freschi, è il legame più attivo con la sua corporazione. Quella dei Pastai, che è puro candeliere settecentesco con il cerone in vera cera. Quella dei Pizzicagnoli (alimentaristi) in stile liberty con le sue caratteristiche cariatidi nella base. Quella dei Bettolieri è la più alta ed è veramente monumentale, in stile impero. Quella dei Panettieri, la più pesante (12 uomini nerboruti per portarla) con gli angeli ad altezza naturale nella base, questa candelora negli anni trenta venne accorciata per non urtare i fili del tram data la sua altezza. Infine chiude la candelora del Circolo cittadino di S.Agata, voluta nel 1876 dal Beato Cardinale Dusmet, in stile neoclassico.

LEGGENDE E TRADIZIONI

 

 

Il devoto catanese, "u cittadinu", veste durante la processione un camice bianco chiamato "u saccu". Questo arriva all'altezza delle ginocchia ed è fermato in vita da un cordone, a corredo guanti bianchi, fazzoletto bianco e cappello di velluto nero (una specie di fez egizio). Si narra che l'arrivo del corpo di S.Agata, avvenuto il 17 agosto del 1126, avvenne in piena notte e ad accogliere il corpo della Santa furono i soli uomini ad uscire così come si trovavano in "camicia da notte", da allora tutti i devoti si vestono così in modo da emulare quella notte. L'origine invece del saio bianco è da attribuirsi a un antico culto pagano per Iside, trasformato poi in religioso (il cordone che cinge i fianchi è simbolo di penitenza ). Per molti secoli solo gli uomini potevano vestire "u saccu", pero' dalla fine degli anni ottanta anche le donne possono partecipare alla processione, possono quindi vestire il saio bianco come gli uomini o un saio verde come il colore dei martiri.

LE SETTE PORTE DI FERRO
Quando avvenne il grande furto nel 1890 le sacre reliquie insieme a tutto il tesoro erano custodite normalmente dentro il duomo, senza particolari precauzioni. Avvenuto il furto e recuperata parte della refurtiva si pensò bene di tutelare questo inestimabile tesoro con dei robustissimi ed invalicabili cancelli in ferro, da qui il famoso proverbio catanese: "Dopu cà a S.Aita a rubbanu ci fìciunu i potti di ferru" (dopo che S.Agata è stata derubata è stata protetta con porte in ferro), proverbio usato a Catania comunemente per indicare rimedi postumi ed inutili, proverbio accostabile a "inutile piangere sul latte versato".
Dentro la navata destra del duomo sorge una pesantissima ed altissima ringhiera che blocca l'accesso all'altare di S.Agata, dove nella sinistra vi si scorge una porticina, anche essa in ferro, che dà in una specie di nicchia detta la "Cammaredda da' Santa". Si apre con due chiavi, una in possesso dell'Arcivescovado e l'altra del Comune. Ebbene, le credenze popolari hanno messo in giro anche la leggenda che, oltre la ringhiera e la porticina descritta, vi siano ancora 5 porte di vario spessore con una molteplicità di catenacci e serrature prima di arrivare alla famosa stanzetta. Ancora oggi durante i festeggiamenti qualche padre o nonno riporta ai figli o nipoti tale leggenda ritenendola invece notizia storica reale.

L'ULIVO FIORITO
Davanti al Sacro Carcere, dirimpetto alla finestra della cella di S.Agata, vi è un'aiuola con un olivo a duraturo ricordo di un'altra leggenda riguardante S.Agata: "Ella, ferita, giaceva a terra nella cella, era tormentata dal sole tutto il giorno implacabilmente, e dai freddi venti di tramontana durante le ore della notte". Vi era sotto le mura del carcere un vecchissimo olivo ormai secco e logoro che non produceva più da tempo nè foglie nè frutti e doveva quindi essere abbattuto. Si narra che per alleviare le sofferenze di S.Agata l'olivo improvvisamente stese i suoi secchi rami fino alla finestra della cella ricoprendoli di giovani foglie creando una barriera d'ombra ai raggi del sole e produsse qualche frutto con lo scopo di sfamare la giovinetta. Per questo a Catania i giorni della festa di S.Agata si preparano "L'Alivetti di S.Aita" (Olivette di S.Agata) fatte di marzapane con la forma e il colore dell'oliva.

LE "INTUPPATEDDE"
Abbiamo già affermato che nel corso dei secoli solo gli uomini potevano trainare i canapi del fercolo e che soltanto da poco tempo è consentito alle donne partecipare. Però va ricordato che le donne avevano anticamente un rapporto diverso con la festa, escluse di fatto dalla partecipazione attiva avevano escogitato un bel modo per partecipare alla festa. Andavano vestite con un sacco che lasciava libero un solo occhio, avevano gran libertà di movimento, ricevendo anche molteplici doni, erano chiamate "Le Intuppatedde" (le chiuse, otturate). E così ammantate potevano vedere ma, non potendo essere riconosciute, non perdevano rispettabilità e decoro e si divertivano. Tali figure sono sopravvissute fino alla metà dell'ottocento quando hanno trasformato lo scopo di quel travestimento, solo le ragazze da marito si agghindavano in quel modo andando per le vie della città in festa, lontano dalla processione, a stuzzicare i giovanotti maritabili, avendo il vantaggio di non essere riconosciute, talvolta si stuzzicava il proprio fratello, che, inconsapevole, "subiva" dalla propria sorella delle piccole angherie magari per ripagare un torto subito.

 

Corrado
 


Questa sezione di poesie e pensieri è dedicata all'autore, Corrado, un carissimo amico prematuramente scomparso qualche anno fa e che sono certo che finalmente abbia trovato quella pace da troppo tempo invano cercata.

 

Vedi anche: Dove si trova il Fercolo di Sant'Agata in processione in tempo reale?

 

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